Nel numero 36 di questo Notiziario avevamo esposta la critica situazione dell’INPGI, l’Istituto autonomo di previdenza dei giornalisti, e l’ipotesi che esso avrebbe potuto essere assorbito dall’INPS. Cosa che è puntualmente avvenuta con la legge di bilancio: l’art. 28 stabilisce che dal prossimo 1° luglio quell’Ente confluirà nell’INPS costituendo il Fondo speciale dei giornalisti. Questa decisione è analoga a quelle effettuata alcuni anni fa con gli Enti riguardanti i dirigenti delle imprese industriali, i pubblici dipendenti, i lavoratori dello spettacolo, i di- pendenti delle Poste iscritti all’IPOST e, prima ancora, gli ex-Fondi Trasporti, Elettrici, Daziari e doganali, Esattoriali, Ferrovie dello Stato. Le fusioni sono state fatte allo scopo d’impedire che i deficit di quegli Enti impedissero l’erogazione regolare delle pensioni; però in tal modo si è gravato l’INPS sia di debiti pregressi sia dei futuri deficit derivanti dallo sbilancio tra lavoratori attivi e pensionati di quelle categorie.
In altri termini, in tal modo si rafforza la concezione di considerare l’INPS come unico Ente preposto al sistema previdenziale italiano, conglobando tutte le categorie esistenti.
La cosa potrebbe essere considerata equa dal punto di vista sociale e solidaristico nazionale. Però non si può fare un grande calderone dove ci siano gestioni attive e gestioni passive e poi prendere a pretesto il passivo complessivo finale per ridurre le prestazioni delle gestioni attive!
Vogliamo infatti ricordare, ancora una volta, come il numero assolutamente maggiore degli iscritti all’INPS sia quello dei lavoratori dipendenti privati il cui Fondo presenta un saldo attivo. Ma poiché per incidere sul bi- lancio bisogna fare i conti sui capitoli maggiori, il governo tende a ridurre le prestazioni di quella categoria sia come calcolo della pensione sia come accesso al pensionamento. Invece, noi riteniamo che le regole – stabilite peraltro da riforme concordate con le Parti Sociali, come quella del 1995 – debbano rimanere immutate e non essere modificate “in peius” per coprire i deficit di altre gestioni i quali, come sempre da noi affermato, devono essere a carico della fiscalità generale.
COMMENTI SULLA CRISI DELL’INPGI
Sulla crisi dell’INPGI e sulla sua fusione nell’INPS si sono registrati due interessanti commenti ironici e critici del sistema. Giuliano Cazzola, ex-sindacalista della CGIL e componente dei consigli di amministrazione degli Enti Previdenziali, ha osserva- to come questa incorporazione sia “una vendetta del destino”. Egli ha infatti ricordato che per anni giornalisti e conduttori televisivi hanno attaccato i trattamenti pensionistici di tutti gli altri lavoratori, criticando i privilegi del calcolo retributivo e l’inefficienza dell’INPS. Però nel frattempo non facevano conoscere all’opinione pubblica le notizie riguardanti la “loro” previdenza e i loro contratti che ne prevedevano le regole. E i dirigenti dell’Ente re- spingevano con sdegno qualsiasi ipotesi d’inter- vento pubblico sull’INPGI in nome della “libertà di stampa” che sarebbe stata messa a rischio se sottoposta a norme disposte dal governo. Sta di fatto che le pensioni medie attuali dei giornalisti sono (dati del 2019) di 67.000 euro l’anno, al terzo posto dopo quelle dei notai e dei professori universitari. Un altro commento, di tipo diverso, è di Federico Rampini, noto inviato e giornalista de “La Repubblica” il quale è stato messo obbligatoriamente in pensione a 65 anni dal suo giornale a seguito di un accordo per i pensionamenti anticipati, ancora con le regole dell’INPGI. Egli si è detto sorpreso dal fatto che mentre al governo si tende ad alzare l’età del pensionamento a tutti i lavoratori, si autorizzano le aziende giornalistiche all’anticipo per ragioni economiche aggravando il bilancio dell’IN- PGI con la pensione e con la cessazione dei con- tributi all’Ente previdenziale.
Insomma, questa misura – resa necessaria da una situazione critica – ha fatto discutere per alcune contraddizioni nel dibattito sulla previdenza italiana.