Progressioni economiche: la disciplina transitoria

All’articolo 13 del contratto collettivo nazionale 2019-2021 è stata introdotta una disposizione transitoria che riguarda le progressioni economiche all’interno delle aree.
Nel rispetto di determinati presupposti è prevista la possibilità per il personale di effettuare la progressione tra le aree, dettando disposizioni differenti, in ordine alle procedure, ai limiti di spesa ed ai requisiti di partecipazione per il periodo transitorio, «progressioni in deroga», fino al 2025 (art. 13, commi 6 e seguenti) e per il periodo a regime (art. 15, comma 1).

Quanto alle progressioni “in deroga” è previsto che: al fine di tenere conto dell’esperienza e della professionalità effettivamente utilizzate dall’amministrazione in cui si è in servizio, in fase di prima applicazione del nuovo ordinamento professionale e, comunque, entro il termine del 31 dicembre 2025, la progressione tra le aree può avvenire attraverso procedimenti valutativi a cui possono partecipare i dipendenti in possesso dei requisiti elencati nella Tabella C di Corrispondenza, allegata al CCNL 16/11/2022.

Ogni amministrazione, in base alle caratteristiche delle aree di destinazione e al confronto con la delegazione di parte sindacale, definisce i criteri per la valutazione, assegnando un peso percentuale non inferiore al 20% ai seguenti elementi:
❑ l’esperienza maturata nell’area di provenienza;
❑ il titolo di studio e le competenze professionali acquisite attraverso percorsi formativi;
❑ le competenze certificate come quelle informatiche e linguistiche, le competenze acquisite sul posto di lavoro e le abilitazioni professionali.

Il ruolo della contrattazione decentrata
La contrattazione decentrata dovrà intervenire almeno in ordine ai seguenti aspetti:

  • i requisiti che dovranno possedere i dipendenti per partecipare alle procedure selettive (art. 14, comma 2, lett. a);
  • i criteri per le procedure selettive volte ad attribuire i differenziali stipendiali ai dipendenti (art. 14, comma 2, lett. d);
  • le risorse destinate all’applicazione dell’istituto ed il numero di differenziali stipendiali attribuibili (art. 14, comma 2, lett. b).



La minaccia di licenziamento per costringere ad accettare condizioni di lavoro ingiuste configura il reato di estorsione

Secondo la Cassazione Penale la remissione al soggetto passivo della scelta della condotta da adottare non è considerazione che possa escludere la sussistenza della minaccia e dell’estorsione. La
violazione di legge non può ritenersi superata dal fatto che nelle e mail non si minacci il licenziamento ma di dica che il lavoratore “è libero
di andare via”. Tale precisazione perde di vista il senso evidente della frase, che pone il lavoratore di fronte all’alternativa di accettare le inique e vessatorie condizioni di lavoro imposte dal datore di lavoro o di perdere il lavoro.
Nel caso in esame le condizioni di lavoro (indicate come alternativa alla perdita del lavoro) sono inique e illegittime in quanto intese a sottoporre il
lavoratore a turni di lavoro ininterrotti, ben oltre gli orari pattuiti, per espletare attività non rientranti nelle proprie mansioni, con un trattamento
retributivo del tutto inadeguato rispetto alle ore lavorative effettivamente svolte e alle attività effettivamente espletate.
Di fronte a tale stato di fatto va ribadito, secondo la Suprema Corte, che integra il delitto di estorsione la condotta del datore di lavoro che, approfittando del mercato del lavoro a lui favorevole per la prevalenza dell’offerta sulla domanda, costringe i lavoratori, con la minaccia larvata di
licenziamento, ad accettare la corresponsione di trattamenti retribuiti deteriori e non adeguati alle prestazioni effettuate.

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